47 ANNI DOPO LA MORTE DI GIGI MERONI


La farfalla granata, tra calcio, arte e tanti buoni sentimenti
tempo: 42ms
RSS
Torino, 15/10/2014 -


Sono passati veloci come il vento che soffia solo una volta, spazza tutto e poi va via. Un soffio capace di cancellare una vita, la vita di un campione di calcio tanto amato che ha scritto un pezzo della grande storia del Torino. Gigi Meroni, la farfalla granata moriva il 15 ottobre 1967 a Torino in Corso Re Umberto, mentre attraversava la strada. Una tragica fine consumata proprio davanti a casa sua, mentre usciva dal bar in compagnia di Fabrizio Poletti suo amico e compagno di squadra, terzino del Toro e della Nazionale di allora . Ricordarlo dopo 47 anni dalla sua scomparsa è come rivivere quel momento legato alla sua storia di calciatore e uomo dai mille affascinanti interessi artistici. Una vita spezzata a soli 24 anni, troppo presto, troppo pochi per chiunque. Ha disputato 145 partite in Serie A realizzando 29 reti, ma ciò che si ricorda di Gigi è quel suo essere personaggio atipico, particolare, che amava dipingere, disegnare i suoi abiti e vestirsi in maniera originale, incarnando una figura che si connaturava in un calciatore – beat, ma anche in artista, in hidalgo e anche in dolce innamorato della bella Cristiana. Con questo suo modo d’essere appariva come appartenente alla piccola nobiltà. Ma Gigi fu sì nobile, ma di animo, perché le sue radici di ragazzo venuto da Como, diventato in breve tempo il mito e il simbolo di un'epoca, fu soprattutto un esempio di vita per tanti ragazzi di quegli anni che erano l’emblema della speranza di un mondo migliore. Un qualcosa di simile alla concretezza di voler crescere e maturare in fretta attraverso i sacri valori umani. E Gigi, vera e propria leggenda del calcio italiano, fu uomo dalle mille sfaccettature, estroso in campo come nella vita privata. Un esempio di ordine mentale e modus vivendi. Un beat la cui folta capigliatura e il suo apparire che incuriosiva tutti, non riusciva a nascondere la bella persona che c’era in lui. Un ragazzino semplice, cresciuto velocemente ma senza mai dimenticare l’umiltà delle sue origini, l’educazione ai sentimenti e al rispetto che egli mai ha dimenticato, nemmeno nel momento di maggior fulgore professionale. E dire che oggi, 47 anni dopo la sua prematura morte, è cambiato il calcio, sono cambiati i calciatori e il mondo che gli ruota attorno, ed è cambiata anche la quotidianità di una vita totalmente diversa. Sì, perché sono cambiati gli uomini che hanno perso la loro naturale genuinità e quei sentimenti che oggi sembrano sempre più soffocati da una deriva materialista che appare inarrestabile. Così, quando ci capita di parlare di personaggi del passato, non possiamo non fare un distinguo tra quello che è stato e quello che è. E, pur nella convinzione che il presente non è poi tutto da buttar via, ci riesce sempre più difficile non cadere nell’inevitabile retorica di pensiero che, in fondo, personaggi come Gigi Meroni che ha vissuto soltanto 24 anni della sua vita, sono riusciti a lasciarci dentro ciò che certi contemporanei uomini, o presunti tali, non potranno mai fare. E’ l’eredità dei buoni sentimenti e del calcio pulito. Un ricordo, un qualcosa di prezioso che ci ha lasciato una farfalla di color granata, le cui esili ali sono state spezzate da un vento troppo impetuoso.

Salvino Cavallaro  



Salvino Cavallaro