MIRKO FERRETTI, “SONO MOLTO ORGOGLIOSO DI ESSERE STATO ALLENATORE NELL’OMBRA”


Allenatore in seconda e il fascino di un ruolo importante per il calcio.
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Torino, 28/12/2016 -


“Una vita da secondo – L’allenatore nell’ombra” è l’autobiografia di Mirko Ferretti, l’ex calciatore degli anni ’50 - ’60, che poi intraprese anche la carriera da allenatore restando però sempre fedele al ruolo di secondo. Ed è proprio questa figura così particolare per la vasta letteratura dedicata al calcio, che ha interessato gli autori Michele Ruggiero (giornalista Rai) e Alessandra Demichelis, storica scrittrice della provincia di Cuneo. Mirko Ferretti è figlio d’arte, in quanto suo padre è stato calciatore professionista negli anni ’30 – ’40, restando fedele alla Sicilia e in particolare alla città di Messina. Mirko Ferretti da calciatore ha vestito diverse maglie, ma è rimasto legato al Torino per aver vissuto ben 15 anni della sua vita. Con questa nostra intervista abbiamo voluto entrare nell’anima di un calciatore capace di percorrere una strada fatta di sport, ma anche di vita culturale, politica e sociale.    

Signor Ferretti, come nasce l’idea di scrivere un libro su di lei, da parte dei due autori Michele Ruggiero e Alessandra Demichelis?

“Con il giornalista Rai Michele Ruggiero siamo amici da tanti anni. Un giorno mi chiese se avessi delle cose da raccontare della mia lunga carriera di calciatore e poi di allenatore. Ma ciò che ha subito incuriosito gli autori del libro, è stato proprio questo mio racconto da allenatore in seconda. Una figura che apparentemente potrebbe sembrare di poco interesse, ma che invece ha dei risvolti sportivi e umani davvero impensabili. Ecco, direi proprio che attraverso il mio racconto sportivo nell’ombra, è emerso uno spaccato di vita che coglie anche il mio interesse di calciatore sempre attento alla vita sociale e politica”.

Già, il suo interesse verso la politica. E’ vero che lei è stato uno dei rari casi di calciatore degli anni ’50 – ’60, a manifestare pubblicamente le sue idee politiche di sinistra?

“Mio padre era di estrazione politica rivolta a sinistra. Finita la guerra sono cresciuto attraverso i valori e le idee di sinistra, ritenendomi sempre un socialista nel vero senso della parola. Negli anni in cui giocavo a calcio, ho sempre dichiarato apertamente e con onestà intellettuale il mio credo politico. Ricordo che in quegli anni in cui mi trovavo a Torino, conobbi il giornalista Nello Pacifico e poi Diego Novelli, due personaggi storici della sinistra italiana. La loro amicizia mi ha arricchito molto sotto il profilo culturale e politico. Con loro ci siamo frequentati a lungo, rafforzando ancor di più quelle che erano già le mie idee di base. Ecco, questo è stato uno dei tanti risvolti che si è intrecciato alla vita sportiva, quando ero a Torino come allenatore e secondo di Gigi Radice”.

Suo papà Renato giocava nel Messina. In quali squadre siciliane ha poi allenato?                       

“Ha allenato per un certo periodo il Messina e poi per due anni il Canicattì”.

Da quali sentimenti siete stati legati alla bellissima terra di Sicilia?

“Papà ha fatto il calciatore per sette anni a Messina. Era il capocannoniere indiscusso e non ha mai acconsentito a un eventuale trasferimento altrove, anche se a quell’epoca era stato richiesto da squadre importanti come la Roma, il Genoa, l’Alessandria. Ma lui ha avuto una sorta di affetto per quella città di Messina che gli ha tributato molto calore dal punto di vista umano. Sono sentimenti che allora significavano tanto, forse tutto, in un mondo del pallone che ti metteva a contatto con la gente e ti faceva sentire importante”.

Senta Mirko, come nasce la sua amicizia con il giornalista Rai Michele Ruggiero?

“E’ proprio il pallone che ci ha unito fin dal tempo in cui sono stato a Torino e nel Toro. Gli ho raccontato la mia storia di calciatore e di uomo. A lui piacque molto, fino al punto di rielaborarla assieme ad Alessandra Demichelis che è una storica della provincia di Cuneo. A detta di molti ne è uscito fuori un libro interessante, proprio per le situazioni che le ho specificato prima”.

Ritornando alla politica. Cosa è rimasto in lei di quella ideologia di sinistra, professata durante la sua carriera di calciatore?

“Sono ancora molto convinto di ciò. E’ un po’ come la Costituzione che vogliono cambiarla senza mai averla applicata. Da sempre è stata staccata e vilipesa, perché c’è scritto che la legge è uguale per tutti e non è così, che il lavoro è per tutti, ma non è così, che la casa è per tutti e all’atto pratico non è così. Sono quindi per una giustizia socialmente avanzata, perché se no, oggi come oggi, rischiamo di disperdere ciò che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità. Spiace dirlo, ma il nostro Paese sembra diventato solo per i furbi e non si fa nulla per il bene collettivo”.

Ritornando al calcio. Cosa c’è ancora che lo attrae di questo mondo?

“Il pallone e basta. Non sono d’accordo con l’inserimento della tecnologia. Penso che con questo sistema si snatura l’essenza di un gioco del calcio che è natura, vita, inventiva, un qualcosa che fa discutere ma che sa darti profonde emozioni”.

Lei è stato definito un allenatore nell’ombra. Non le dispiace sentirselo dire?

“ E’ proprio il contrario. Sono molto orgoglioso di essere stato allenatore in seconda, perché a parte la figura principale di tecnico che segue la squadra, è la figura del secondo che riesce a legare i rapporti tra tutto l’ambiente e lo spogliatoio. I giocatori vanno seguiti, non solo dal punto di vista tecnico e tattico, ma anche da piccole sfumature che sfociano nell’umano. E’ vero che il calcio è gioco di squadra, ma ogni singolo ha il suo carattere, la sua vita privata e una storia che non è mai uguale agli altri. Ecco, direi che il mio ruolo è stato sempre quello di aiutare l’allenatore sotto l’aspetto di alcune problematiche dei singoli giocatori. Quella sorta di complicità che si instaura tra il secondo allenatore e i calciatori. Infatti, loro si confidavano più con me che con altri. Anche questo è il segreto di tanti successi nel calcio”.

Lei ha giocato nel Canelli, nel Como, nel Catania, nella Fiorentina, nel Torino, ed ha chiuso la sua carriera nell’Alessandria. Quale di queste squadre le è rimasta nel cuore?

“Sono stato nel Torino per 15 anni. Ho giocato, allenato, e sono stato anche responsabile del Settore Giovanile. Quella era la mia casa e quella maglia mi è rimasta nel cuore”.

Per finire, cosa pensa del Torino di oggi?

“Chi conosce il Toro, come lo abbiamo vissuto noi fino ai componenti dell’ultimo scudetto, può capire cosa voleva dire “Campo Filadelfia”. So che sta risorgendo dalle ceneri e presto sarà inaugurato, ma difficilmente potrà crearsi quell’ambiente famigliare che conoscevamo noi. Ricordo che i tifosi ci aspettavano dopo l’allenamento. Era una festa. Pacche sulle spalle e discorsi amichevoli ti facevano sentire il calore della gente granata. C’era un filo conduttore che legava tutto e tutti, a partire dal presidente fino al magazziniere e ai tifosi. Oggi si tende a chiudere le porte per non scoprire segreti tattici che potrebbero favorire l’avversario di turno della domenica. Così i tifosi restano ingiustamente fuori dalle porte. E’ vero, è cambiato il calcio. Ma sono cambiate anche le persone”.

Salvino Cavallaro    

 

 

    



Salvino Cavallaro