JUVENTUS, MA È PROPRIO VERO CHE HA SBAGLIATO SOLO MARCHISIO?


Juventus
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10/01/2013 -

Ci sono storie nel calcio che si ripetono in maniera ciclica. Storie che riguardano il campo di calcio, ma anche situazioni talora incresciose che si ripetono e fanno polemica. Da poco tempo avevamo parlato di quel collega giornalista della Rai di Torino che, in un servizio fuori dallo Juventus Stadium, destinato al TGR Piemonte, aveva fatto una domanda a un tifoso bianconero che aveva suscitato giustamente clamore e disgusto perché offendeva chiaramente il popolo napoletano: ricordate? Oggi, a distanza di poco tempo, apprendiamo di un’altra situazione giornalistica atta alla provocazione: “C’è un giocatore in particolare che ti ispira una sana vena di antipatia?” e Marchisio risponde: “Non qualche faccia in particolare, ma una squadra, soprattutto dopo le finali ruvide di Coppa Italia e di Supercoppa: il Napoli”.  L’intervista pubblicata sul Corriere della Sera Style, ha ovviamente procurato un vespaio di polemiche. Verrebbe da dire “Marchisio, ma che dici ? Sei improvvisamente impazzito?”. Ma potremmo anche dire la stessa cosa al collega che, in maniera provocatoria, ha fatto una domanda a dir poco trabocchetto. Con tutto il rispetto e la benevolenza verso la categoria che mi vede partecipe, devo dire che il collega, di cui non conosco il nome, non può fare simili domande al suo interlocutore e, il suo intervistato non può neanche cadere così facilmente nel tranello della provocazione gratuita. Fin da quando abbiamo preso la tessera di giornalisti, dopo tanta gavetta, abbiamo imparato che in questo particolare settore dell’informazione, esiste un codice etico che non può essere dimenticato e, soprattutto, non appartiene a mode imposte dalle nuove generazioni. A noi hanno insegnato che essere giornalista, significa dare un apporto d’informazione e comunicazione corretta che va al di là di ogni interesse personale o scoop che dir si voglia. C’è una deontologia professionale da rispettare e, questa, non la si può disconoscere. Ritornando al fatto in questione, ci sembra che l’errore marchiano è da imputare in egual misura ad entrambi, giornalista e interlocutore. E’vero, Marchisio avrebbe dovuto non dare una simile risposta come se fosse un vero e proprio ingenuo del pallone che non ha mai incontrato un giornalista e, il collega poteva, anzi doveva, risparmiare la sibillina domanda che nascondeva insidie di vasta e stucchevole polemica. Pur non volendo insegnare nulla a nessuna, ci pare davvero che trovandosi davanti a un calciatore importante come Marchisio, si dovevano preparare domande consone alla curiosità legittima ma mai morbosa, dei tifosi e degli appassionati di calcio. Nei nostri numerosi incontri con calciatori, ex calciatori, dirigenti, arbitri, abbiamo sempre pensato che attraverso l’intervista si può dare un contributo sociale promuovendo l’esempio e la messa in atto di valori etici e sportivi. In altre parole, abbiamo sempre creduto che il giornalista che si trova faccia a faccia davanti a un calciatore o altro interlocutore importante, deve interpretare attraverso la propria sensibilità ciò che il lettore vorrebbe chiedere se lì, in quel preciso momento, al posto del giornalista ci fosse lui. In quel caso, è un servizio che si fa nel rispetto del lettore e del tifoso che non ha bisogno di essere istigato alla diatriba e alla violenza, ma ha bisogna di conoscere il campione, la sua storia, l’uomo che c’è in lui, e il sogno di tanti giovani che desiderano emularne le gesta. Ricordo Alessandro Del Piero in una delle tante profonde interviste rilasciate a noi giornalisti ai tempi in cui i giovani buttavano le pietre dai cavalcavia delle autostrade. Ebbene, attraverso quell’intervista fatta a uno dei calciatori più esemplari di tutti i tempi, ci fu un messaggio sociale a tanti giovani, parole non fatue e banali ma penetranti, capaci di entrare nell’anima, far riflettere e toccare le coscienze. Ma v’immaginate se in quell’occasione fosse stata fatta a Del Piero, da qualcuno di noi, la stessa domanda che è stata fatta a Marchisio? Non siamo indignati, credete, ormai non ci meravigliamo più di nulla in questo mondo del pallone in cui si parla e si scrive sempre meno di fatti tecnici, dell’emozione di un gol, di una vittoria o di una sconfitta, tuttavia, riteniamo opportuno precisare che se noi giornalisti siamo responsabili di ciò che diciamo e scriviamo, è altresì vero che anche i nostri interlocutori devono essere messaggeri di fair play.

Salvino Cavallaro     


Salvino Cavallaro