ACHILLE MUZZARELLI, TRA PIACEVOLI RICORDI E ASPRE DELUSIONI GRANATA


Foto Edoardo Covone Famiglietti Intervista a un granata doc, che da tanti anni è capostipite dell`industria artigianale della pasta fresca.
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Torino, 20/03/2018 -


Ci sono storie di vita che ci piace ascoltare e poi raccontare per la loro semplicità. La vera storia di Achille Muzzarelli, continuità di un’antica casa artigianale che opera nel settore della pasta fresca di prima qualità, ci ha attratto e anche emozionato. Già, l’emozione nel ricordo di un bambino che nel lontano1949 aveva solo dieci anni e oggi ha voglia di raccontarsi, di rivivere romanticamente ciò che sembra ingiallito dal tempo. Achille, fin da bambino è stato un fervente tifoso del Toro e per indole famigliare si è appassionato alla maglia granata del Grande Torino, legandosi specialmente al capitano Valentino Mazzola. Un giorno, di quel fatidico anno, prima che avvenisse la tragedia di Superga, Achille ricevette da Mazzola un distintivo del Toro. Fu un momento emozionante per quel bimbo che adorava il capitano, simbolo di una storia che si è cucita sulla pelle in maniera indelebile. Dopo quel tragico evento dello schianto dell’aereo che riportava a casa il Grande Torino da Lisbona, Achille promise a se stesso e a papà Giuseppe, che avrebbe trovato il modo di onorare il ricordo del Capitano di quella invincibile squadra che tanta gente fece innamorare. Ebbene, nell’occasione della rinascita dello stadio Filadelfia, Achille ha mantenuto quella sua antica promessa, legando il suo Pastificio Bolognese e tutta la famiglia Muzzarelli al Pennone dedicato a Valentino Mazzola. Storie di cuore, di promesse mantenute, di inesauribile orgoglio per aver portato a termine una promessa quasi sacra. Una sorta di gratitudine per quel piccolo distintivo del Toro ricevuto in dono, e che oggi è pure un po’ arrugginito dal tempo. E’ la bellezza di un calcio che appare come qualcosa che inorgoglisce per fede sportiva, ma che poi coglie sfumature di vita che vanno oltre ogni cosa. In fondo è questo, è il gusto delle piccole cose, dei piccoli gesti che diventano improvvisamente grandi per la loro semplicità. Storie di vita che ti riconciliano con un mondo spesso banale, arido di sentimenti, sempre più proiettato verso una superficialità che appare inarrestabile e senza freni inibitori. Ma, per fortuna, ci sono storie romantiche come questa di Achille, capaci di strapparci attimi di riflessione sul significato semplice di vivere una vita a misura d’uomo, con la naturalezza che va alla ricerca dei sentimenti, delle relazioni tra le persone che restano alla base di ogni cosa. Da un piccolo pensiero del campione leggendario, la grandezza di un sentimento portato avanti per tanti anni con il segno tangibile della riconoscenza. E sullo sfondo di quel Pennone del nuovo Filadelfia che si erge orgoglioso e imponente sotto il cielo azzurro diventato metaforicamente granata, rivediamo le sagome nitide di capitan Valentino Mazzola che regala il distintivo del Toro al bimbo Achille, sotto lo sguardo commosso di papà Giuseppe Muzzarelli. Non è una storia inserita nel libro “Cuore” di De Amicis, ma più semplicemente la realtà di un fatto accaduto tanti anni fa. Qualcosa che parte dal pallone e arriva direttamente al cuore. Certo, se pensiamo alla crisi attuale del Toro, alle contestazioni e alle brucianti delusioni dovute all’attuale opacità granata, anche la storia di Achille, così ammantata di zucchero e cannella, ci sembra quasi una favola da raccontare ai bambini prima di dormire. Ed è per questo che una mattina di fine inverno, abbiamo pensato di incontrare il tifoso Achille per capire bene quella che è la sua idea sul Toro. Naturalmente, il tema più scottante resta l’attuale crisi granata. Vediamo di sviscerarla insieme.

Achille, cos’è il Toro per te?

“Un qualcosa che mi è rimasto nell’anima fin da bambino, in cui mio padre mi portava in spalla da Piazza Carducci allo stadio Filadelfia per vedere il Grande Torino”

Romantiche note granata di tanti tifosi, che appartengono alla generazione del dopo guerra.

“Sì, sono un innamorato. Se guardo il Toro sono trasportato dal sentimento, se vedo invece un’altra partita riesco a individuare chi gioca bene da chi gioca male. Poi, se penso a quel distintivo regalatomi da capitan Mazzola che mi è stato appuntato sul mio vestitino pulito, inamidato e ben stirato in quel triste dopo guerra, riesco a commuovermi ancora oggi”.

E’ vero che sai tutte le formazioni del Toro di allora?

“Sì, ogni tanto vado a rivedermi i poveri e scarni filmati di allora e non faccio altro che emozionarmi, al cospetto di ciò che stiamo vivendo oggi noi tifosi del Toro”.

Già, una squadra che oggi sembra allo sbando e senza un presente che possa far sperare nel futuro.

“Penso che il vero spirito del Toro sia morto con il presidente Rossi. Ricordo come giocava quella squadra che appariva sempre carica di rabbia, grinta e determinazione. Poi il nulla. Pian piano il mio Toro è sparito nel nulla e si è caratterizzato nel saliscendi tra campionati di Serie A e B. Adesso siamo diretti da un presidente attento dal profilo finanziario ma mai animato dal punto di vista di un miglioramento della squadra. Possiamo elencare grandi plusvalenze, efficienza di bilanci corretti che garantiscono l’allontanamento dal pericolo di debiti, ma non abbiamo più i risultati e lo spirito Toro. Quello ci manca assolutamente”.

Ma quali sono le vere cause per cui questo Torino non è mai all’altezza della situazione?

“Secondo me non ci sono più quei grandi vivai del passato. Non ci sono più i Vatta, gli Usseglio, non ci sono più i ragazzini che crescevano e poi esordivano nel Toro. Oggi i calciatori giocano per il denaro e non si appassionano ai vecchi sentimenti legati alla maglia”.

E adesso poniamo in analisi la crisi del Toro, prescindendo dai sentimenti. E’ solo la società ad essere responsabile?

“Ribadisco il concetto di un Torino amministrato unicamente per far quadrare i bilanci. Cairo tratta il Toro come un suo business, una sua industria e non come una squadra di calcio. Poi abbiamo un direttore sportivo che non è all’altezza della situazione. Petrachi, infatti, vende i pezzi migliori per prendere delle probabili promesse che non ci sono. E che dire del “povero” Comi che ha le mani legate, visto che ha tante idee mai suffragate dal presidente..”

Quindi, viene fuori l’immagine di un Torino pragmatico nei conti e scarso in materia calcio. E’ così?

“Sì, le plusvalenze hanno la precedenza su tutto. Ma che squallore non crescere mai come squadra!”

Cosa pensi di questo continuo gettar le colpe su Mihajlovic da parte del presidente Cairo, per difendere a spada tratta Mazzarri. Lo ritieni giusto?

“Secondo me Mihajlovic era un allenatore da Toro, come mentalità e grinta. Ma forse era carente nella gestione della squadra e nella comunicazione con i media. Mazzarri non mi ha mai convinto, piuttosto avrei visto bene un Gasperini, ma anche Davide Nicola sembra adatto allo spirito Toro. Bella quella sua dipartita in bici da Crotone per arrivare al Filadelfia e poi andare a Superga per onorare il Grande Torino. E invece Cairo ha preferito sostituire in corsa Mihajlovic, con cui era stata fatta la preparazione estiva e programmato un certo percorso. Adesso i giocatori risultano impreparati sotto l’aspetto atletico e mentale. Insomma, c’è tanta confusione e i risultati non possono essere altro che questi”.

Scelte e situazioni sbagliate che sono da imputare a Cairo?

“Un presidente giusto, quando vede dei giovani come Benassi o Zappacosta che possono creare lo zoccolo duro della squadra, non li vende per il solo fatto di incrementare le casse della società, ma semmai li tiene con l’intento di acquistare giocatori altrettanto validi. E’ vero, si è tenuto Belotti che purtroppo è l’ombra di ciò che è stato l’anno scorso, ma è arrivato un inconcludente Niang che mi risulta non sia costato poco. Penso che si debba dare fiducia ad alcuni giovani della Primavera, ricostruendo la squadra con giocatori esperti e qualitativamente validi anche se costosi, ma non demotivati dall’essere stati scartati da altre squadre”.

Sarà questo uno dei tanti motivi, per cui il campionato del Toro negli ultimi anni finisce a febbraio o marzo?

“Nel mercato di gennaio c’era la possibilità di rimediare a certi errori fatti nella prima campagna acquisti. E allora penso a un centrocampista che potesse creare un po’ di gioco e un altro attaccante  come Zapata che potesse aiutare Belotti. Come sai non è arrivato nessuno. Si poteva fare meglio, invece ci troviamo ad ascoltare le cattiverie di Cairo contro Mihajlovic in una confusione totale. Che delusione! Per forza che i vecchi tifosi del Toro come me, non fanno altro che rimpiangere il passato”.

Se avessi l’opportunità di parlare a Cairo, cosa gli diresti?

“Di cambiare Petrachi e di mettere un direttore sportivo che sappia di calcio e che non pensi solamente di portare a casa bilanci favorevoli alla società, ma che si impegnino a costruire una squadra competitiva sotto tutti gli aspetti. Il Toro e i suoi tifosi lo meritano”.

Dunque, per il bene del Toro è necessario cambiare solo il direttore sportivo?

“Penso che trovare un altro presidente che abbia la stessa attenzione nei bilanci come  Cairo, sarà difficile. C’è il pericolo di finire nelle mani dei cinesi, dei russi o degli arabi e poi non si sa come potrebbe andare a finire. Magari avremmo tanti soldi, ma non si sa come li amministrerebbero. Per questo, penso che il cambio di Petrachi sia necessario per costruire una vera squadra di calcio”.

Per finire Achille, riesci ancora a vedere un barlume di luce nel futuro del Toro?

“I ragazzi di oggi si affezionano prevalentemente ai giocatori e alle squadre che vincono, fanno le Coppe Europee e abbiano visibilità. Queste sono cose che mancano sempre di più al Toro”.

Dunque, Forza Toro Sempre?

“Sì, forza Toro sempre. Il Toro è nell’anima e non si può cambiare. Nonostante tutto!”

Salvino Cavallaro    

 

                   



Salvino Cavallaro