IL MIO CALCIO.


Prima del derby capitolino tra Roma e Lazio, c`è un incontro tra Totti, Peruzzi e la famiglia Sandri, che deve farci riflettere.
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Roma, 18/11/2017 -


L’incontro di Totti e Peruzzi con il papà e il fratello di Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio ucciso dieci anni fa, mi ha fatto riflettere sul calcio dei valori che per sua natura si contrappone all’odio. E’ il mio calcio fatto di sana rivalità sportiva, lealtà, capacità di rispettare l’avversario e, soprattutto, mettere in evidenza la volontà di intendere che il pallone resta qualcosa che deve unire e mai disgregare. Ognuno con la propria fede sportiva, coi colori della bandiera e della maglia che porta nel cuore, senza mai perdere di vista che la rivalità non può sfociare nell’accecante odio che resta il vero male dell’uomo. L’abbraccio tra Totti, Peruzzi e la famiglia Sandri, altro non è che l’esempio di quanto sin qui detto, e cioè l’emblema di unione di due tifoserie storicamente ostili, che davanti al senso dell’umano sono capaci di portare la loro accorata partecipazione al ricordo di un ragazzo che in una maledetta domenica di novembre di dieci anni fa, fu ucciso da un poliziotto intervenuto nel tentativo di porre ordine tra scontri di tifosi in un area di rifornimento dell’autostrada. E poco importa se Gabriele fosse come tutta la sua famiglia un appassionato tifoso della Lazio, perché i romanisti rappresentati da Francesco Totti fin dal giorno dei funerali, sono stati partecipi al cordoglio per la morte del giovane ragazzo. Ecco, questo è il calcio in cui mi riconosco, che non è segno di poca fiamma ardente verso la passione per la propria squadra, ma più esattamente è il senso dell’umano sportivo che resta  il vero significato di un pallone che non può ungerci di odio ma deve ammantarci di voglia di aggregazione e quindi di umanità. La gioia di una vittoria che si contrappone alla delusione di una sconfitta. Immagini di abbracci e felicità che si oppongono alla teste chine e alle lacrime di delusione. E’ il calcio che somiglia alla vita con la sua eterna metafora e che non può oscurare i sentimenti e le emozioni che restano il fulcro principale della persona. E siccome il calcio è fatto di persone, resta purtroppo l’eterna diatriba interna tra bene e male. Ma il pallone della passione ha l’obbligo di insegnarci a fare il tifo per la nostra squadra e non a denigrare, ingiuriare, disprezzare la passione altrui. E’ un fatto di cultura sociale, di educazione sportiva che deve nascere dalle radici di ogni famiglia, ma anche dalla scuola e dal rapporto verso gli altri, dello stare insieme e rispettarsi pur senza condividere il pensiero altrui. La chiamano retorica, quel manifestare dei buoni sentimenti che tuttavia non si oppongono mai alla voglia di grinta e determinazione agonistica per inseguire la vittoria, ma che ci fa ravvedere su comportamenti troppo spesso esasperati e ostili verso il nostro avversario. Ma l’avversario altro non è che una persona come noi, con pregi e difetti che ne completano l’uomo fin dalla sua genesi. E allora ben vengano gli esempi di umanità come l’incontro del Totti romanista con la famiglia Sandri laziale, capaci di dirci che è il primo passo verso un’educazione sportiva che va oltre ogni rivalità. E’ il mio calcio, è quello in cui credo e per cui scrivo ormai da molti anni.

Salvino Cavallaro       

 

Salvino Cavallaro