MALEDETTO RAZZISMO


La società razzista che ha giocato sulla fragilità di un giovane di 20 anni
tempo: 32ms
RSS
Milano, 05/06/2021 -

«Quegli sguardi schifati su di me......». E' la frase pronunciata da Seid Visin, un giovane appena ventenne che ha giocato nelle giovanili del Milan ed è stato compagno di squadra di Gigio Donnarumma. Ebbene, queste parole così pesanti di colpevolismo umano e inaccettabile crudeltà razziale, sono inserite in una lettera - testamento che Visin ha scritto prima di suicidarsi. «Ho dovuto lasciare un lavoro perchè la gente si rifiutava di farsi servire da me» - un monito per la nostra società, per le nostre coscienze insensibili e sempre alle prese con la grettezza mentale di scartare colui il quale ha un colore di pelle diverso dal nostro. Già, l'inaccettabile pensiero di denigrare tutto ciò che è diverso e non è degno di rispetto. Assurdo, imperdonabile che ai nostri giorni ci sia ancora questo modo di sbeffeggiare e fare del male in modo gratuito a chi non è come noi e non la pensa come noi; ma chi siamo noi per potere giudicare ed emarginare l'altro? Eppure i 20 anni di un ragazzo di colore sono stati umanamente offesi al punto di uccidersi, di farla finita con la vita perchè non accettato dalla società. «Ovunque io vada, ovunque io sia sento alle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone». Continuava così Seid Visin, il quale metteva in evidenza uno stato d'animo offeso e maltrattato nella propria intimità, capace di lacerare in profondità la sua anima. Seid era nato in Etiopia ma era cresciuto in Italia, adottato da una famiglia a Nocera inferiore. Lo ricorda lui stesso in quella lettera testamento che ha scritto prima di farla finita con la vita: «Io non sono un immigrato, sono stato adottato da piccolo. Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto. Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perchè troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano come responsabile perchè molti giovani italiani non trovassero lavoro». Poi il calcio giocato; prima nelle giovanili del Milan con la stanza condivisa con Donnarumma e quindi l'addio al calcio professionistico per tornare a divertirtirsi in una squadra di calcio a 5. E nel frattempo il razzismo l'ha divorato dentro fino a compiere il gesto estremo di finirla con la vita. Proprio a 20 anni, proprio nel cominciare a vivere la vita sul più bello dei sogni da realizzare. Ebbene, crediamo proprio che tutti noi dobbiamo sentirci responsabili di una simile società intollerante e con spiccate quanto gravi forme disumane di razzismo. Si rispetti la persona in quanto tale. Questa è la base di ogni civile convivenza che abbraccia i diritti dell'umanità.

Salvino Cavallaro