TOUR DE FRANCE, HANNO VINTO I SOSPETTI


A Parigi festa per Froome, ma con un fondo di malinconia. Doping e diffidenza, quanto è lontano il giro di boa?
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Parigi, 22/07/2013 -

Si è appena conclusa la festa, quella della Grande Boucle che spegne cento candeline a distanza di più di un secolo dalla prima edizione del 1903. Ma mentre Froome taglia trionfale il traguardo parigino non si può non avvertire un groppo alla gola, non solo per la consapevolezza che la festa è finita e da oggi non ci saranno più le emozioni regalateci dalla doppia scalata dell'Alpe d'Huez e dalle volate finali tra Cavendish e Sagan, almeno fino all'anno prossimo. L'impressione è che la passione sia smorzata dalla diffidenza che ormai gli appassionati provano nel vedere un nuovo campione che si inerpica per le salite e subito dopo ha frorza sufficiente per scattare più volte, difendersi dagli attacchi e allungare in classifica. Il britannico vincitore ha dovuto vedersela con insinuazioni di ogni genere da parte di tifosi e stampa per certi suoi tempi strepitosi, come in occasione dell'ascesa sul Mont Ventoux.

Troppi casi hanno oscurato il passato di questo sport e lasciato una macchia nelle carriere di tanti corridori. Da Contador, la cui vittoria nell'edizione 2010 della corsa francese è stata cancellata dal controverso caso della bistecca al clenbuterolo, all'arresto di Remy Di Gregorio avvenuto l'anno scorso, durante il primo giorno di riposo del Tour a Bourg-en-Bresse. Tanti piccoli buchi neri che attirano nel vuoto tutto ciò che resta alla luce del sole: la straordinaria prova di Quintana, il giovane Moreno Moser che ha mostrato sprazzi di classe nelle salite e lo spettacolo della Versailles-Parigi, l'arrivo al crepuscolo salutato dalle proiezioni olografiche sull'Arco di Trionfo e dal tricolore disegnato nel cielo dalla flotta aerea. Ad incombere su tutto, quelle sette bande nere che sporcano l'albo d'oro dove una volta era scritto il nome di Lance Armstrong.

La macchina del doping ha un funzionamento complesso che comprende gli sponsor, il cui potere finanziario può decidere la sopravvivenza di una squadra, vedere Team Barloworld, i dirigenti ansiosi di accaparrarsi gli accordi economici migliori ed infine gli atleti, contemporaneamente complici e vittime del sistema, piccoli Faust in caschetto e divisa. Prima vengono le vittorie, gli avversari sempre più alla portata, la resistenza che aumenta a vista d'occhio; poi ci sono le conseguenze, che siano esse scatenate da un test a sorpresa, una crisi improvvisa che porta alla morte (come accadde al britannico Simpson) o un decadimento fisico precoce. Come sempre la chiave di tutto sta nell'organizzazione: quanto sarebbe bello immaginare un Tour con tappe più brevi, velocità minori e orari di gara meno caldi. Perché ogni nuovo caso di doping è una richiesta di aiuto da parte di uno sport troppo corrotto, immemore di coloro che con anfetamine ed Epo hanno trovato la fine della carriera o della vita, si pensi rispettivamente a Riccò e Pantani. Quando si terrà in conto tutto ciò, allora potremo tornare a guardare il ciclismo senza nutrire sospetti che rasentano la paranoia, magari strabuzzando gli occhi come bambini nel vedere un fresco ragazzo svettare sul Col du Tourmalet. Forse un giorno, davanti all'ennesimo campione caduto in basso, tutto questo accadrà.

Samuel Boscarello