DA ROMA A TORINO, PASSANDO PER PIOMBINO: LA STORIA DI UN INCONTRO. TRA CALCIO E FILOSOFIE DI VITA


Già, il calcio. Un mondo diverso, capace di sviluppare attenzioni ed emozioni totalmente opposte alla religiosità
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28/10/2013 -

Succede di fare un lungo viaggio in macchina e accade pure di pensare ad un amico e fermarsi a salutarlo. Nei giorni scorsi mi è capitato di ritornare da Roma, dove ho assistito all’udienza generale di Papa Francesco. Emozioni profonde e folla di persone incalcolabile. Piazza San Pietro sembrava il centro del mondo. Migliaia e migliaia di persone accalcate per vedere Francesco, per assistere da vicino al suo sorriso rassicurante, alla sua umiltà, ai suoi gesti teneri e affettuosi verso vecchi e bambini alla ricerca di un bacio, di una carezza simbolica data dalla mano di Dio. E lui, Papa Francesco, non tradisce le attese offrendosi con generosità a tutti. E’ stata davvero una grande emozione che ho voluto scrivere immediatamente recandomi nella Sala Stampa del Vaticano, dove sono stato accolto con molta ospitalità dai colleghi giornalisti di tutto il mondo; preti compresi. Un’esperienza inusuale, unica nel suo genere, soprattutto per me che sono abituato alle sale e alle conferenze stampa dedicate al calcio. Già, il calcio. Un mondo diverso, capace di sviluppare attenzioni ed emozioni totalmente opposte alla religiosità, ma che in fondo si somigliano per enfasi e patos che sono così abili nell’infiltrarsi tra le pieghe più profonde dell’animo umano. Un gol può suscitare sentimenti ed emozioni talora simili all’incontro di migliaia di persone di lingua e culture diverse, che confluiscono in una grande piazza come quella di San Pietro in Vaticano per sentirsi uniti attraverso la richiesta di un conforto che Papa Francesco regala a tutti e che vale più di ogni altra cosa al mondo. Un calcio al pallone e una carezza all’anima. Cose diverse? Forse!
Così, come dicevo pocanzi, ritornando in macchina da Roma verso Torino e, passando da Piombino, ho pensato di andare a trovare un amico caro che non vedevo da molto tempo: Aldo Agroppi. Nelle vicinanze di Grosseto telefono a casa sua per annunciare la mia breve visita. Mi risponde Nadia, la moglie di Aldo, la quale mi dice di essere contenta di sentirmi e che Aldo in quel momento non era in casa, ma sarebbe rientrato da lì a poco. Il cielo plumbeo e la pioggia battente e copiosa, incoraggiano a fermarsi almeno un po’ prima di proseguire il lungo viaggio. Arrivato a Villa Agroppi, Aldo aziona il cancello automatico per darmi libero accesso. Il temporale è insistente e quasi non mi permette di scendere dall’auto per entrare di corsa in casa sua. Poi, dopo aver posteggiato accuratamente l’auto accanto alla porta d’ingresso, faccio una breve corsa che mi consente finalmente di entrare. Prima l’accoglienza affettuosa di Nadia, poi l’abbraccio sincero ad Aldo s’intrecciano in gesti eloquenti che non hanno bisogno di tante e inutili parole, perché parlano da sole. Ci sediamo in salotto e Aldo mi informa che è stato operato da poco all’ospedale di Livorno. “Mi hanno messo un pacemaker coronarico” mi dice con voce roca. Ma lui continua ancora: “Questa operazione mi è stata consigliata dal cardiologo per evitare brutte sorprese e improvvisi pericoli che potrebbero verificarsi a seguito dell’infarto e dell’intervento chirurgico che ho avuto qualche tempo fa”. L’ho trovato smagrito il buon Aldo, forse un po’ stanco, ma sempre attento nelle sue analisi calcistiche e lucido nei concetti riferiti all’andamento del mondo e della sua globalizzazione, capace com’è di cambiare in maniera così repentina a discapito dei valori umani. Pensieri tristi, profondi, talora senza speranza per l’umanità, che sembrano associarsi all’atmosfera di una giornata buia e senza sole. La pioggia continua a battere con violenza sui vetri delle finestre prospicienti al salotto dove noi siamo seduti, quasi a significare i profondi e malinconici pensieri di Aldo. E’ il sintomo della sua depressione, il male oscuro che lo affligge ormai da troppi anni e che ora, a causa del post infarto e degli interventi chirurgici, sembra acuirsi sempre più. Alti e bassi. Un andamento umorale di tipo depressivo che si manifesta con picchi di negatività che soffocano sempre più la positività dei pensieri. Intanto cerco di parlare di calcio, del campionato in corso e del Toro attuale, proprio per sviarlo da certi assillanti pensieri e portarlo su argomenti più consoni a quella che è stata la sua vita di grande calciatore, prima, e di allenatore e opinionista televisivo, poi. “Il Toro fa quello che può” dice Aldo, “la squadra non ha grandi potenzialità tecniche e, purtroppo, è destinata sempre a lottare e soffrire per restare in Serie A. Ci vorrebbero grandi acquisti, ma Cairo non ha la possibilità di farli, soprattutto adesso che ha anche acquistato l’emittente televisiva La7. La Juve mi sembra stanca, non è la stessa squadra che abbiamo ammirato due anni fa in occasione della conquista del primo scudetto dell’era di Antonio Conte. Note positive arrivano invece dalla Roma, una squadra in grado di esprimere un buon calcio e di esaltare le qualità tecniche e tattiche di Totti, nonostante la sua non più giovane età. Tuttavia, penso che è ancora presto per dire che vincerà lo scudetto, anche in considerazione degli eventuali infortuni che potrebbero penalizzare la squadra giallorossa che non possiede una panchina importante. Bella anche la Fiorentina di Montella, mentre per il Napoli bisognerà attendere gli sviluppi del suo cammino in Champions League. L’Inter, dopo il campionato negativo dello scorso anno è in fase di ricostruzione. Mazzarri è un buon allenatore e, nonostante il cambio ai vertici della società nerazzurra, saprà sicuramente riportare la squadra ai livelli che gli competono. Il Milan di Allegri sembra aver perso troppi punti in classifica a causa di una non buona campagna acquisti. Lo stesso dicesi per la Lazio, una squadra dai risultati altalenanti che ha messo a dura prova le indubbie capacità di Petkovic.” L’analisi di Agroppi è lucida, competente, condivisibile, attenta a ogni situazione legata al pallone nostrano, anche se, in tutta confidenza, mi dice che il più delle volte non riesce ad assistere a una partita intera in televisione: “Questo calcio non mi piace più per tanti motivi e, per certi versi, mi ha deluso profondamente”, dice Aldo. Proprio lui che è stato uno degli artefici del grande calcio d’un tempo ormai troppo lontano.
Intanto, il mio sguardo si posa sulla parete accanto, dove spicca un bel quadro che riproduce l’icona di Mina, la più grande cantante italiana di tutti i tempi che gli ha scritto una dedica autografata. E’ orgoglioso Aldo di questo cimelio, “Mina è la mia cantante preferita. Ricordo che tanti anni fa andavo ad ascoltarla dal vivo alla Bussola di Bernardini a Viareggio. Che belli quegli anni…!” Poi si ripiomba nei pensieri tristi e, prima di lasciarci, mi dice: “Sai Salvino, il pensiero della morte mi atterrisce, non la concepisco, soprattutto nel dare un significato alla vita stessa. Ma che senso ha morire dopo una vita di sacrifici per costruire il tuo futuro e quello dei tuoi affetti più cari. Che senso ha tutto ciò?” Ci lasciamo così con Aldo, con una domanda che non ha alcuna risposta. Un abbraccio intenso a lui e a Nadia proprio mentre arriva il nipotino Alessandro, quattordicenne calciatore degli Allievi della Fiorentina allenata dal fratello di Roberto Baggio. Riuscirà il rampollo di casa Agroppi a emulare le gesta calcistiche di nonno Aldo? Chissà, il futuro è dalla sua parte. Per adesso Alessandro si gode il nonno, lo abbraccia e lo stringe forte, quasi a voler significare l’affetto smisurato che prova per lui, nonno splendido che l’ha seguito fin dai suoi primi calci al pallone.
Così, dopo aver salutato e ringraziato tutti, riparto per Torino. Il viaggio è ancora molto lungo ma, grazie a Dio, la pioggia si è attenuata di molto e il sole sembra fare capolino all’orizzonte. E’ stato bello incontrare Aldo Agroppi, è stato emozionante condividere il suo particolare momento di vita e ascoltare i suoi pensieri esistenziali, così profondi da far passare in secondo piano quel calcio che da sempre è stato il senso della sua vita da serio professionista. I primi calci al pallone nel mitico Filadelfia sono stati l’inizio di una vita dedicata al calcio, prima giocato e poi vissuto dalla panchina come allenatore. Dopo è stato opinionista davanti le telecamere delle emittenti televisive più prestigiose d’Italia, a parlare con schiettezza, a raccontare le sue verità senza il timore di offendere nessuno, neanche i vertici del Potere. Ma, in un mondo fatto di ipocrisia, Aldo Agroppi c’è stato sempre male, non si è trovato mai a suo agio. Ha lottato talora contro i mulini a vento, pagando pure di persona nel tentativo di fare un servizio e un’informazione corretta, senza peli sulla lingua, con quel coraggio che non vuole mai nascondere scomode verità. Questo è Aldo Agroppi, il toscanaccio dalla lingua tagliente e biforcuta, tanto amato e odiato per avere sempre detto quello che pensa. E ancora oggi, nonostante il tempo fugga via inesorabile, egli si sente più “incendiario” che “pompiere”, anche se….. certi negativi pensieri che deprimono e invadono la sua mente, sono sempre più lontani dal calcio e più vicini a una realtà sociale ed esistenziale che non lascia spazio all’ottimismo.

Salvino Cavallaro


Salvino Cavallaro